Storie di Streghe d'Abruzzo





Addusele, ascolta.

Vorrei farti entrare in una di quelle cucine antiche nelle quali si riunivano a tavola le famiglie negli anni in cui il cibo era scarso e in quei due mobili di vecchie assi di legno erano racchiusi i beni e i saperi della famiglia. Pranzi veloci perché l’ozio non era contemplato nei vocabolari di quei piccoli paesi, ma anche infinite ore da trascorrere uno accanto all’altro. Lunghi silenzi e lunghi racconti si alternavano su quelle sedie di legno e corde. Il fuoco era luce e riscaldamento e gli adulti esempio e cultura. 
Si ascoltava.
Le distrazioni erano poche, così come i giochi e i libri. Erano pochi i bisogni e tanti i doveri non delegabili. Il rispetto era nel primo boccone da mangiare e nel piatto più ricco. La neve sugli alberi non era affatto poetica e la gioia si accendeva in un giorno di sole o in un covone di grano in più.
Il fatto grave esplodeva in un piccolo malanno allora incomprensibile e il sospiro di sollievo nasceva dal rimedio che la nonna tirava fuori dagli insegnamenti di sua madre. E poi raccontava di come lei stessa era stata curata quando era piccola ma anche di quel mostro che la notte la tormentava da sempre e della ggenda malamenda.
E si ascoltava e imparava come curarsi dai piccoli malanni e dalla cattiveria umana e ultraterrena, e le preghiere della vecchia di casa che arcitave lu rusarje accanto al camino. 
La cucina era anche il luogo dove si ospitava e dove ci si incontrava, dove si mettevano i punti alle calze strappate e si preparavano le pizzelle per il giorno di festa.
In queste cucine le nonne ti facevano sedere per toglierti il malocchio. Proprio da quei mobili senza valore prendevano il piatto e l’olio per sconciare l’ammidia. I mostri della notte e i santi del rosario si sedevano intorno alla tavola a guardare quelle carezze sulla fronte che profumavano d’amore.
Anche le guaritrici ti accoglievano in cucina. Ricordo una di loro accanto al focolare con un ferro per pizzelle con i manici lunghissimi e sul tavolo l’impasto ammassato e non sbattuto. Lasciò la sua ricetta dalle modalità arcaiche per avvicinarsi a me: il suo dono era più prezioso dei dolci. Pregava la Madonna mentre usava le mani in tecniche che solo i libri avrebbero potuto insegnarle: ma lei non ne aveva mai sfogliato uno.

Ora tocca a te sederti in questa cucina e ascoltare le storie di magare, nonne e streghe.
Magare. Donne che conoscevano riti per rimuovere la negatività o le erbe per guarire, che sapevano usare le mani e gli occhi per creare o togliere il dolore. Donne che in cucina curavano umori e corpi usando antichi saperi, donne che in cucina usavano sale antico.

Mo’ addusele, ora ascolta…

 David Ferrante